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SPEAKERS
& RELATIONS
Carlo Sorge, giornalista e chairman del
convegno, ha presentato una relazione focalizzata sugli
aspetti introduttivi del Knowledge Management (KM), al
fine di illustrare questa nuova disciplina manageriale
che, basandosi su un approccio culturale, organizzativo e
tecnologico, consente alle imprese di innalzare il
proprio livello di competitività, ottimizzando i
processi, accorciando il time to market e rendendo la
propria struttura più funzionale al business.Da un punto di
vista operativo il knowledge management rappresenta un
sistema di gestione della conoscenza aziendale, la quale
richiede servizi, strumenti e soluzioni per essere
gestita al meglio. Regina Casonato, vice
president di GARTNER GROUP, ha esaminato il
mercato del KM, di cui approfondisce alcuni aspetti
cruciali al fine di definirne con precisione i contorni,
evidenziando soprattutto le prerogative tecnologiche
ovvero le tecnologie che supportano il KM e le
applicazioni da questo supportate.
Ma
lessenza del KM si esplica soprattutto con
riferimento ai processi di business, di cui ha parlato Gianluca
Maino, senior consultant di IBM GLOBAL
SERVICES, la divisione di servizi di IBM, che ha
realizzato un sistema di knowledge management per
valorizzare le esperienze, le competenze, gli skill
acquisiti dai suoi professional nel mondo: si tratta
dellIntellectual capital ovvero di un insieme di
informazioni, esperienze, metodi e tecniche strutturati
in modo da rendere possibile la creazione, la
condivisione e il riutilizzo degli asset aziendali per
produrre valore.
Ciò
significa approcciare correttamente un progetto di KM,
dotandosi, in particolare, di unadeguata
infrastruttura tecnologica. Come ha spiegato Luigi
Pugliese, principal di BOOZ ALLEN
& HAMILTON, attraverso la descrizione del
progetto KOL (Knowledge On Line), che è stato condotto
in Booz Allen & Hamilton stessa e che rappresenta un
esempio di gestione della conoscenza aziendale
applicabile, con le dovute personalizzazioni, anche ad
altre realtà.
Anche
per Roberto Polillo, managing director di ETNOTEAM,
le tecnologie sono centrali in un progetto di KM in
quanto necessarie per costruire il corporate wide web, un
repository on line dell'intero patrimonio conoscitivo
aziendale che deve essere continuamente alimentato e
saccheggiato dai dipendenti, e che si avvia a sostituire,
nelle aziende, il desktop di Bill Gates.
Ma per
utilizzare al meglio il repository on line occorre
orientare limpresa alla learning organization. Come
ha descritto Fabrizia Pregaglia, KM marketing
manager di SAP, la quale, nellesaminare
il KM con particolare riferimento alla condivisione e
all'indirizzamento della conoscenza in funzione dei
profili di utenza e alla formazione, individua
nellintegrazione, in particolare tra persone e
informazioni, il nocciolo del knowledge management: un
immenso patrimonio informativo aziendale, interamente
strutturato, serve infatti a poco se non cè chi lo
utilizza con profitto.
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"La
motivazione? Fondamentale"
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Un componente irrinunciabile di un
buon approccio di knowledge management è la
motivazione delle persone, perché sono queste
che alimentano il processo e gli danno
continuità. "Il know how di ogni singola
persona deve essere messo a fattor comune: è
strategico ma tutt'altro che immediato - spiega Luigi
Pugliese, principal di Booz Allen & Hamilton
-: a noi ci sono voluti anni, perché occorre
assumere alcuni atteggiamenti 'innaturali' in un
mondo competitivo come questo: rendere
disponibili le proprie migliori idee agli altri,
superare la resistenza a usare le idee degli
altri, mettere continuamente in discussione il
proprio modo di procedere e le proprie
soluzioni".
Il problema, continua Pugliese, è cambiare la
cultura e il modo di lavorare secondo il concetto
che è un dovere inserire nella rete intranet il
know how che ciascuno accumula. Per favorire
questo cambiamento Booz Allen & Hamilton ha
sviluppato un metodo di valutazione delle persone
legato, oltre che alle performance presso i
clienti, alla qualità e quantità dei contributi
alla intranet: "Questo vale per tutti: chi
non inserisce informazioni, esperienze e know how
non ha molte possibilità di fare carriera nella
nostra azienda". Un approccio che si ritrova
in molte delle aziende che hanno adottato il KM:
"Una parte del mio stipendio è legata
all'utilizzo del capitale intellettuale",
spiega Gianluca Maino, senior consultant
di IBM Global Services.
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COMPUTERWORLD HA
SCRITTO
Knowledge
management: panoramica tra ostacoli, difficoltà e
benefici
Il
concetto è confuso, ma non è una moda: ignorarlo costa
3.000 sterline l'anno per dipendente
Nonostante
lo scetticismo di molti, dovuto anche alle comunicazioni
spesso superficiali e confuse di 'media' e fornitori,
sembra che il knowledge management sia destinato ad
affermarsi. Molti grandi operatori del software stanno
allestendo un'offerta di KM, le maggiori società di
consulenza hanno creato centri di competenze ad hoc, e
dal lato della domanda sempre più aziende, per ora
soprattutto negli USA e nel Nord Europa, avviano progetti
in questo campo.
Nato come creazione di 'depositi' di informazioni, il
knowledge management è poi cresciuto inglobando molti
altri concetti, e il rischio ora, anche se alcuni
elementi comuni rimangono (l'uso della conoscenza per
raggiungere obiettivi di business, la combinazione di
fattori di cambiamento umani e tecnologici, la 'cattura'
e diffusione della conoscenza), è che le iniziative di
KM, riferendosi a tanti aspetti diversi, perdano focus
generando aspettative confuse e irrealistiche. Ci è
sembrato quindi utile cercare almeno qualche punto fermo,
basandoci sugli interventi di alcuni convegni sul
KM tenutisi negli ultimi tempi a Milano, tra cui
uno organizzato da Jekpot e presieduto da Carlo
Sorge, e uno curato da IDC.
L'affermazione di un'economia basata sui servizi più che
sui beni fisici e l'evoluzione delle tecnologie stanno
creando uno scenario in cui il vantaggio competitivo è
sempre più legato alla conoscenza, componente decisiva
dei fattori critici di successo odierni: time to market,
velocità d'innovazione, creazione di nuove opportunità.
"Il vero punto di differenziazione - dice Giorgio
Berini, consulente di IDC - è nella rapidità con cui
un'impresa reagisce alle esigenze del cliente e innova
l'offerta elaborando conoscenze e informazioni".
In tale
quadro il 30-40% dei lavoratori oggi si può definire
'knowledge worker', perché opera con informazioni e
conoscenze per erogare prodotti esistenti, svilupparne di
nuovi, capire i clienti e il mercato, e così via.
"Come modello di organizzazione del loro lavoro -
spiega Federico Butera, presidente di Butera e Associati
e docente di Sociologia dell'Organizzazione alla Sapienza
di Roma -, il knowledge management è il riconoscimento
di una classe di lavoratori ormai prevalente".
Una difficoltà del KM è l'eterogeneità delle
conoscenze aziendali: depositate nei database o nella
testa delle persone, incorporate nell'organizzazione,
scritte nel software, riguardano prodotti, servizi,
mercato, clienti, procedure. Eppure la loro gestione
sistematica è ormai indispensabile: come spiega
l'inglese David Parlby, Workforce Solution leader di
KPMG, un KM inefficace costa 3.000 sterline
l'anno per dipendente per perdite di conoscenze interne,
ricreazione di conoscenze già esistenti, scarsa
innovatività, sovraccarichi informativi, tempi di
decisione troppo lunghi, incapacità di trovare gli skill
giusti per un dato progetto, non condivisione di best
practice: "Sono proprio i problemi che hanno
spinto anche noi di KPMG a creare un sistema unico di
collaborazione e condivisione delle conoscenze su scala
mondiale".
Se l'affermazione del KM è indotta dal quadro
competitivo, è l'evoluzione tecnologica che ne facilita
l'applicazione. In tale ambito però, dice Regina
Casonato di Gartner Group, la situazione rimane
fluida. Si tratta di un mercato al momento molto
volatile, con tecnologie già affermate e altre che lo
saranno tra 8-10 anni: "Non c'è una suite completa
di knowledge management: una strategia del genere
richiede la gestione di un portafoglio di prodotti,
tecnologie e servizi dei fornitori più disparati, dagli
sviluppatori di funzionalità 'classiche' come
information retrieval e document management alle start up
con le loro tecnologie innovative, ai provider di servizi
di BPR e gestione risorse umane".
Dunque anche il solo tracciare una mappa delle tecnologie
di KM è arduo - vedi nel box a pag. 29 due tassonomie
possibili -, ma, al di là di ciò, il mercato KM è in forte
ascesa. Per IDC i servizi varranno circa
9 miliardi di dollari nel 2003, con un tasso di crescita
annuo del 59% trainato da pianificazione e
implementazione. Quanto al software, la spesa si
divide tra infrastruttura di KM (data warehouse, document
management, groupware) - che conta per il 61% del budget,
cresce del 15% annuo e varrà 1,6 miliardi di dollari nel
2003 - e accesso al KM (enterprise portal, motori di
ricerca, workflow) che richiede il 39% del budget, cresce
del 43% annuo e varrà 2,5 miliardi nel 2003.
In poche parole il KM è definibile come un approccio su
scala aziendale per creare, catturare, organizzare,
rendere accessibile e trasferibile, e far usare il
patrimonio intellettuale aziendale, e che presuppone la
collaborazione e la condivisione di know how e
informazioni. Non si tratta quindi solo di un progetto,
ma di un nuovo modo di svolgere le attività che tocca
organizzazione, persone e tecnologie, e dev'essere
strettamente connesso con il business: "I processi
sono la forma su cui la sostanza del KM si applica - dice
Gianluca Maino, senior consultant di IBM Global
Services -; occorre chiedersi come usare ciò
che si sa per fare meglio le attività quotidiane: la
conoscenza non vale nulla se non è declinata sul
business".
La difficoltà di un modello del genere è la sua
multidimensionalità: come tutti i cambiamenti complessi,
esso richiede l'applicazione di molti classici principi
di project management (accurata definizione di ambito e
obiettivi, necessità di misurare, coinvolgimento di ogni
livello fino al top management, gestione quotidiana con
strutture ad hoc) e ha un'alta percentuale di fallimenti.
"La complessità produce un'apparente contraddizione
che il KM condivide con altri trend come il BPR - osserva
Ezio Viola di IDC -: da una parte per essere utile deve
estendersi al maggior ambito aziendale possibile e
richiede forti cambiamenti, dall'altra i migliori casi di
successo vedono un'applicazione ristretta a singoli
dipartimenti e basi di conoscenze ben delimitate, e pochi
cambiamenti".
Come ogni cambiamento su scala aziendale, il KM soffre di
alcune tipiche barriere organizzative: per IDC le
principali sono una cultura aziendale sfavorevole alla
condivisione delle conoscenze, la scarsa comprensione del
KM e dei suoi benefici da parte del management, e la
difficoltà per il personale di inserire le nuove
incombenze del KM nelle abituali attività per mancanza
di tempo. Mentre come visto l'atteggiamento del
management, spinto dalle sfide esterne, sta cambiando,
gli altri due ostacoli sono risolvibili almeno in parte
con una buona implementazione del KM. La fase di
preparazione comprende la definizione chiara e precisa di
alcuni aspetti:
1) Obiettivi di business legati al KM: il più
frequente per IDC è il miglioramento di profitti e
vendite, seguito dall'aumento del livello di
soddisfazione dei clienti e dal trattenimento dei
migliori professionisti dell'azienda. In genere, dice
Federico Butera, i macro obiettivi sono la valorizzazione
delle conoscenze come asset aziendale, l'innovazione
dell'offerta, e il miglioramento dei processi operativi,
del presidio del mercato e della gestione di
comunicazioni e relazioni.
2) Ambito del progetto. Sempre secondo IDC, le
aree più frequenti di focalizzazione del KM sono:
condivisione delle conoscenze, gestione dei rapporti con
i clienti, creazione di 'magazzini' di conoscenze,
standardizzazione e trasferimento di best practice.
3) Referente del progetto nel top management, team
interfunzionali, livello di preparazione attuale riguardo
a persone (cultura), organizzazione (processi),
tecnologie (infrastruttura IT).
4) Vera e propria soluzione di KM per le persone
(change management, sistema d'incentivazione),
l'organizzazione (progettazione dei processi, tool di
apprendimento), le tecnologie (tool, applicazioni e loro
integrazione con i sistemi di business, infrastruttura IT
di base) e i sistemi di misurazione (ritorni degli
investimenti, livello di soddisfazione di clienti e
dipendenti).
Quanto alla fase realizzativa, i fattori critici sono
strategici (trade off tra approccio pragmatico e visione
globale, impegno di tutti a partecipare), culturali
(spinta a condividere informazioni e know how con
appositi sistemi d'incentivazione), tecnologici,
d'impegno quotidiano di gestione e promozione del KM e di
misura delle performance tramite un'apposita struttura
fissa.
Tutto
questo lavoro ha come 'premio' la realizzazione degli
obiettivi visti sopra, ma in funzione dei tipi di aziende
in cui il KM viene applicato possono esserci anche
benefici collaterali molto interessanti, come quello
segnalato da Luigi Pugliese, principal di Booz
Allen & Hamilton (BAH). Grazie al KM questa
società di consulenza ha sì raddoppiato il tasso di
crescita, aumentato la visibilità e aperto la propria
cultura ai cambiamenti, ma il vantaggio cruciale è
l'accorciamento della curva di esperienza: "Provengo
da altre società di consulenza che non avevano un
sistema del genere, e ne ho apprezzato tutta la
strategicità - spiega Pugliese -. Chi entra in BAH o
cambia settore, in poche settimane riesce ad acquisire la
padronanza di tutto il know how della società in quel
settore. Ciò per una società di consulenza è cruciale:
prima bastava perdere poche persone e se ne andava tutto
il know how in una data area; ora la conoscenza non è
più una fonte di potere, anche se non è stato un
passaggio indolore: per il successo del KM occorre
rimuovere le resistenze più rigide. È chiaro che tutti
devono credere nel sistema: i partner che non erano
d'accordo se ne sono andati".
Daniele
Lazzarin
Computerworld
Italia, 17 luglio 2000
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Mappe
tecnologiche |
Anche il
solo tracciare una 'mappa' delle tecnologie di KM
è complicato. Qui riportiamo due classificazioni
possibili, trasversali tra loro. La prima,
proposta da IDC, distingue tra:
. tecnologie specifiche di KM (motori di ricerca,
tool specifici);
. tecnologie abilitanti (document management,
data mining, groupware, e-mail, ecc.);
. infrastruttura (rete client/server, Internet e
intranet, data warehouse, architettura di
storage).
Pierluigi Mazzuca di Microsoft invece ha proposto
una tassonomia basata sulle tecnologie a supporto
delle varie fasi del KM:
. acquisire e creare conoscenza (messaging, real
time collaboration, team workplace,
videoconferenza);
. codificare la conoscenza (storage, knowledge
map, intranet, searching & indexing,
workflow);
. trasferire la conoscenza (team workplace, forum
& communities, real time collaboration,
messaging). |
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